Conciliazione
L'art. 51 del RD 03/07/1861 recita: "Seguendo poi l’indirizzo della patria giurisprudenza, sempre che sul demanio comunale, di non dubbia qualità, troveranno: 1) che la longevità del possesso dell’occupatore costi dall’intestazione a pro suo nei catasti posteriori all’eversione del sistema feudale; 2) che dimostrandosi per ogni altra via l’occupazione non recente e pacifica, l’occupatore abbia migliorato il terreno con immegliamenti permanenti e fissi al suolo; 3) che il Comune abbia lungamente riconosciuto il possesso dell’occupatore, riscuotendo, da oltre dieci anni, un canone qualsivoglia, sia in generi, sia in danaro; 4) che la molteplicità delle occupazioni abbia ingenerato tanti rapporti di diritto fra i possessori delle terre ed i terzi da render più temibile che giovevole la reintegra per l’intera popolazione; 5) ovvero da ultimo che l’occupazione di fatto abbia recato le terre, in quantità non molto discoste dalla quota legale, in quelle stesse mani, alle quali si sarebbe dovuto o si dovrebbe affidarle col procedimento della quotizzazione. In tutti questi casi i Commissari, uditi i Consigli comunali, in via conciliativa, faranno dai periti designare i canoni, da cui dovranno esser gravate le terre occupate, e proporranno quindi i relativi progetti di transazione alla superiore approvazione".
Appare dunque storicamente probabile che l'istituto della conciliazione proprio della riforma murattiana, anche in ragione della profonda influenza che la scuola giuridica napoletana ha esercitato sul legislatore del 1927, abbia dato luogo alla vigente legittimazione; tanto che alla conciliazione seguiva una colonia perpetua; questa ha come caratteristica essenziale la finalità migliorativa del fondo (art. 30 RD 10/03/1810).