Usucapione (in particolare nell'enfiteusi)
L'usucapione, in latino usucapio, è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario basato sul perdurare per un determinato periodo di tempo del possesso su una cosa. In Italia è regolato dagli articoli 1158 e seguentidel codice civile.
Nell'enfiteusi, il diritto del concedente a riscuotere il canone non si estingue per usucapione per il preciso disposto dell’art. 1164 del Codice Civile (interversione del possesso): si può usucapire solo il diritto dell'enfiteuta, mentre il dominio diretto è imprescrittibile; ai sensi dell'art. 1164 del Codice Civile (e prima ancora l'art. 2116 del vecchio Codice Civile abrogato), l'enfiteuta non può usucapire il diritto del concedente; secondo svariate pronunce della Cassazione (4231/76 - 323/73 - 2904/62 - 2100/60 - 177/46), tutte concordi, "l’omesso pagamento del canone, per qualsiasi tempo protratto, non giova a mutarne il titolo del possesso, neppure nel singolare caso sia stata attribuita dalle parti efficacia ricognitiva".
L’esercizio del potere di ricognizione di cui all'art. 969 del C.C. si applica solo per le enfiteusi a tempo (casi singolari), e non riguarda quindi le enfiteusi perpetue: ai sensi dell’art. 958 del Codice Civile le enfiteusi sono perpetue quando non viene stabilita la durata.
Le enfiteusi in cui non viene fissato un termine sono a tutti gli effetti perpetue e come tali, non va esercitato nessun potere di ricognizione in quanto, ai sensi dell’art. 1164 del Codice Civile, se non muta il titolo del possesso dell’enfiteuta, tale enfiteuta non può usucapire la proprietà e quindi il canone non è prescritto; la ricognizione è un diritto riconosciuto al concedente (e non un dovere) per impedire all'ex enfiteuta (ma solo per le enfiteusi a tempo, dopo la loro scadenza) di usucapire il terreno. "Trattasi, quindi, di una mera facoltà e non di un obbligo, nel senso che il concedente, se non vuole esercitarla, non perde, per ciò solo, il suo diritto sulla cosa" (Cassazione n. 2904 del 10/10/1962).
Ancora più recentemente la Corte di Cassazione, con sentenza n. 41114 del 2003, ha affermato che ai fini dell’usucapione del domino diretto (rectius, piena proprietà) da parte dell’enfiteuta non sono sufficienti a determinare l’interversione del possesso di un fondo il mancato pagamento del canone né il comportamento dell’enfiteuta che, alla scadenza del rapporto, sia rimasto nel godimento dell’immobile.
L'interversione del possesso, quindi, non può consistere in un semplice atto volitivo interno del detentore, ma deve estrinsecarsi in uno o più atti esterni dai quali possa desumersi la modificata relazione di fatto con la cosa detenuta, in opposizione al possessore. Deve, cioè, desumersi che il detentore nomine alieno abbia cessato di possedere in nome altrui ed iniziato un possesso in nome e per conto proprio, e tale atteggiamento, pur potendo realizzarsi con il compimento di atti materiali che manifestino l'intenzione di esercitare il possesso in nome proprio, deve anche essere inequivocabilmente rivolto contro il possessore, ovvero contro colui per conto del quale la cosa era detenuta, in modo da rendere esteriormente riconoscibile all'avente diritto che il detentore intenda sostituire, alla preesistente intenzione di subordinare il proprio potere a quello altrui, l'animus di vantare per sé il diritto esercitato, convertendo, così, in possesso la detenzione precedentemente esercitata.
In pratica, la corretta applicazione dell'art. 1164 del C.C. (chi ha il possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa, se il Titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario. Il tempo necessario per l'usucapione decorre dalla data in cui il Titolo del possesso è stato mutato) prevede che, chi volesse usucapire il diritto del concedente, debba innanzitutto fare opposizione contro il diritto del proprietario e, solo dopo 20 anni, può usucapire, dinanzi ad un giudice, la piena proprietà.
Le enfiteusi in cui non viene fissato un termine sono a tutti gli effetti perpetue e come tali, non va esercitato nessun potere di ricognizione in quanto, ai sensi dell’art. 1164 del Codice Civile, se non muta il titolo del possesso dell’enfiteuta, tale enfiteuta non può usucapire la proprietà e quindi il canone non è prescritto; la ricognizione è un diritto riconosciuto al concedente (e non un dovere) per impedire all'ex enfiteuta (ma solo per le enfiteusi a tempo, dopo la loro scadenza) di usucapire il terreno. "Trattasi, quindi, di una mera facoltà e non di un obbligo, nel senso che il concedente, se non vuole esercitarla, non perde, per ciò solo, il suo diritto sulla cosa" (Cassazione n. 2904 del 10/10/1962).
Ancora più recentemente la Corte di Cassazione, con sentenza n. 41114 del 2003, ha affermato che ai fini dell’usucapione del domino diretto (rectius, piena proprietà) da parte dell’enfiteuta non sono sufficienti a determinare l’interversione del possesso di un fondo il mancato pagamento del canone né il comportamento dell’enfiteuta che, alla scadenza del rapporto, sia rimasto nel godimento dell’immobile.
L'interversione del possesso, quindi, non può consistere in un semplice atto volitivo interno del detentore, ma deve estrinsecarsi in uno o più atti esterni dai quali possa desumersi la modificata relazione di fatto con la cosa detenuta, in opposizione al possessore. Deve, cioè, desumersi che il detentore nomine alieno abbia cessato di possedere in nome altrui ed iniziato un possesso in nome e per conto proprio, e tale atteggiamento, pur potendo realizzarsi con il compimento di atti materiali che manifestino l'intenzione di esercitare il possesso in nome proprio, deve anche essere inequivocabilmente rivolto contro il possessore, ovvero contro colui per conto del quale la cosa era detenuta, in modo da rendere esteriormente riconoscibile all'avente diritto che il detentore intenda sostituire, alla preesistente intenzione di subordinare il proprio potere a quello altrui, l'animus di vantare per sé il diritto esercitato, convertendo, così, in possesso la detenzione precedentemente esercitata.
In pratica, la corretta applicazione dell'art. 1164 del C.C. (chi ha il possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa, se il Titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario. Il tempo necessario per l'usucapione decorre dalla data in cui il Titolo del possesso è stato mutato) prevede che, chi volesse usucapire il diritto del concedente, debba innanzitutto fare opposizione contro il diritto del proprietario e, solo dopo 20 anni, può usucapire, dinanzi ad un giudice, la piena proprietà.